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LUIGI LORENZI:
Malinconici orizzonti
Pensare a Luigi Lorenzi vuol dire sentire il rumore di
scalpello e di frese, vedere una figura bianca di polvere
immersa in un ambiente “nebbioso” che solleva
pietre e legni, che con cura gira e rigira, osserva, incide,
inseguendo linee solo immaginate. Stringe gli occhi, guarda
da lontano, da un lato e da un altro, e poi si riavvicina
per scolpire ancora ed ancora. Più di trent’anni,
sono passati, dalle prime opere, in un percorso fatto
di confronti, di conferme ma anche di delusioni. Lorenzi
è andato avanti per la sua strada, anche perché
altre, crede lui, non ce ne sono. Una strada fatta di
lavoro, ricerca, mestiere, talento, dedizione, fatica
e creatività. Solitario di carattere ha comunicato
in questi anni anche con le sue opere con noi, e più
di180 sculture tra piccole e grandi, vorranno pur dire
qualcosa. Lorenzi è un puro, e questo lo frega.
Lo frega perché pensa intimamente che sia sufficiente
essere bravi per avere consenso di critica e di pubblico.
E continua a pensarlo, nonostante le esperienze, le delusioni
e l’avere toccato con mano la realtà dei
fatti. E noi per questo siamo fortunati. Di fronte all’invito
da parte di un critico di cimentarsi con qualche materiale
e qualche forma più moderni, esempio istallazioni
o video, ha deciso di pensare un poco a se stesso, di
smettere di scolpire, di smettere di respirare polvere
e di sforzare una schiena che l’attività
scultorea ha provato, prendendo atto di quella che sembra
essere la realtà. E’ altrettanto chiaro però
che chi ha vissuto trent’anni della propria vita
esprimendosi artisticamente seppur con metodi antichi
ma realizzando forme moderne non è che può
pensare di farla franca semplicemente smettendo. La sua
interiore necessità d’espressione e comunicazione
lo hanno però messo nelle condizioni di fare dei
conti. E Lorenzi ha trovato un mezzo espressivo per lui
nuovo, meno impegnativo economicamente e fisicamente:
la pittura, una pittura figurativa che contrasta volutamente
con le sue ultime sculture, segno evidente di voler cambiare
rotta. Per lui è importante ricordarci che rimane
uno scultore, e che i suoi nuovi lavori non devono indurci
a pensare che lui è un pittore. Sarà...
sta di fatto che Lorenzi ha affrontato questo mezzo espressivo
con la ricetta di sempre: lavoro, ricerca, mestiere, talento,
dedizione, e creatività. La nostra fortuna, come
dicevo prima, è che Lorenzi creda che essere bravi
in quello che si fa sia importante. E allora si è
messo an andare per la sua strada, che può apparire
un andare controcorrente, ma che invece non è altro
che il suo unico modo di fare arte: recuperare come si
dice in gergo il mestiere, sperimentando tecniche, materiali,
provando a fare le cose con serietà e la tecnica
che sono necessarie, quantomeno ad essere intellettualmente
onesto e corretto. Alla base di questo suo studio, c’è
stata una ricerca sui materiali, le tele gli sembravano
troppo importanti e costose quindi come supporto ha utilizzato
panelli di faesite molto più economici, dipingendo
con colori acrilici comperati in ferramenta nati per scopi
molto meno artistici e i pennelli usati scelti tra i meno
costosi. A rafforzare il concetto del basso costo troviamo
un primo elemento concettuale nei dipinti: lo sfondo spesso
riproduce la trama della carta da pacco, a sottolineare
l’uso di materiali poveri per un’arte che
non vale niente, che però trattati con sapienza
ed arte possono dare vita a veri e propri dipinti. Con
questi lavori Lorenzi ha affinato tecniche e materiali
e ha riscoperto la sua indole a comunicare attraverso
l’arte. Nella serie dei “malinconici orizzonti”
istintivamente ha lasciato il centro del quadro vuoto,
è diventato un palcoscenico vuoto, dove i protagonisti,
i soggetti, sono spinti ai margini lasciando al centro
dell’opera quel vuoto di valori che oggi affligge
le nostre vite, che ci ha portato ad una distanza abissale
sul piano della comunicazione gli uni dagli altri. I protagonisti
degli orizzonti poi Lorenzi li indaga più intimamente
e sapientemente ingrandendoli, soggetti vicini ma in realtà
lontani, incapaci di comunicare e di uscire dai propri
appartamenti, che appunto appartano, come dice il filosofo
Umberto Galimberti. Oltre agli orizzonti e ai loro personaggi
Lorenzi realizza anche un’altra tipologia di lavori,
che vanno nella direzione, tra il serio e il faceto, dell’autocritica:
sono quelli in cui si è autoritratto, come “Pollo”
1,2,3. Più seri ma anch’essi nella direzione
dell’autocritica vanno pure “City”,
“Sogno proibito” e il “Dubbio”,
sintomatici del suo stato d’animo sono indubbiamente
“Senza meta” e “Vu cumprà”
dove in quest’ ultimo tra lui e il ragazzo di colore
non vede alcuna differenza infatti tutti e due vogliono
vendere una merce che nessuno vuole.
Serramazzoni agosto 2009
Marco Stefanini
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