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LUIGI LORENZI:
SCULTORE
SCULTURA, FORMA VIVA
Luigi Lorenzi è scultore d' istinto:
non accademico, senza alcuna eredità o rigidità
scolastica da smaltire, il suo lavoro nasce tutto dalla
passione e dal desiderio di proiettare nel fare artistico
la propria esperienza, di "plasmare" la propria
cultura, dando materia e forma alle sensazioni e percezioni
della realtà fisica e dei fantasmi della psiche.
La sua scultura, dunque, è un autentico luogo di
precipitazione, sedimentazione e verifica dell' emozione
esistenziale. Se la sua formazione e preparazione non
sono convenzionali, tuttavia vengono direttamente dalla
scuola del fare, del saper guardare, vedere e recepire
criticamente, e dall' esigenza primaria di elaborare in
proprio la qualità e la quantità dell' immagine,
della materia che si fa emblema araldico di una forma
già coltivata a livello di sintesi tra fisico e
psichico, di sensuale e spirituale, ben oltre, quindi,
il racconto e la sintassi descrittiva e narrativa. E in
relazione alla cultura visiva confezionata e appiattita
dai mezzi di comunicazione di massa, che ci allontanano
sempre più dalla esperienza materiale delle cose
e dalla manipolazione delle forme come esercizio fondamentale
di partecipazione al farsi e al modificarsi della realtà.
L' approccio di Lorenzi alla scultura è, infatti,
soprattutto poetico e lirico, ricerca di un gesto che
tra terra e cielo congiunga spazio interno ed esterno,
psiche profonda ed ambiente, in una dinamica che impegna
il corpo e il pensiero, l' immaginazione e l' azione in
una costante sperimentazione delle materie e delle relazioni
nello spazio. Credo sia per questo che la quasi totalità
delle sue opere è una sequenza di "abbracci"
e "baci" di congiunzioni amorose (in cui si
evidenzia il "dialogo" tra due elementi) o di
"riflessioni" (meditazioni, pensieri, tormento,
solitudine) in cui l' individuo si dispone al colloquio
con se stesso, esplorando labirinti del sentire e territori
emotivi in rapporto ai quali le forme, dalle più
semplici e dirette alle più mosse e complesse,
non sono che ulteriori evoluzioni, simbolicamente più
rastremate ed essenziali o più ricche ed articolate,
di materia e gesto, di luce e slancio vitale, ora centripeto
ora centrifugo, ora penetrante e fecondante oppure emergente
e generante, di pieno e vuoto, di leggero e pesante.
L' itinerario percorso dall' autore è ben segnato
da scelte formali, tecniche e materiche precise. Dopo
una serie di sculture di studio anatomico (ben rappresentate
dal Torso in arenaria del 1978),
Lorenzi si mostra attratto da due versanti: quello delle
forme chiuse nel blocco e fortemente connotate da un simbolismo
arcaico di energia consolidata e concentrata, di congiunzione
e di tensione centripeta, ma che aspira a, e preannuncia,
uno sviluppo, una germinazione, lo sbocciare della forma
aperta. La materia prevalente è la pietra, arenarie
o ciotoli fluviali di graniti, porfidi, serpentini, scelti
per la forma già arrotondata naturalmente, come
se custodisse il segreto dell' energia e della vita, con
rilievi su cui la luce scrive tenerezze d' abbracci e
drammatiche strette, con mani distese a proteggere, a
"con tenere" (Ultimo abbraccio, 1979; Lotta,
1982; Abbraccio, 1985; Dramma, 1985; Il riposo, 1986);
l' altro versante è quello della forma aperta in
gesti plastici di crescita armonica e di danza. La figura
plastica conchiusa fiorisce nello spazio aprendo il suo
guscio, forzando le sue cortecce, dando una direzione
espressiva esplicita - non più soltanto allusiva
- alla forma.
I titoli dati dall' autore alle opere concorrono subito
a segnalare il senso della sintesi plastica, intimamente
collegata al sentimento, al valore emozionale dei lavori
e al loro costante riferirsi al vissuto (Maternità,
1987; Distacco, 1988; Eterno ritorno, 1988). In questo
secondo ciclo di sculture prevale la sensibilità
per il legno, in particolare il faggio, materia viva e
calda, che Lorenzi fin dagli inizi ha mostrato di saper
mudulare nello spazio con convincente perizia, naturale
eleganza e promettente originalità. A questo punto,
il divaricarsi della forma e la focalizzazione dei due
elementi, iniziale e terminale, del gesto plastico gli
suggeriscono possibilità di esplorazione di elementi
in dialogo tra loro, ora in rapporto armonico (Danza celeste,
1983; Cavallo e Cavaliere, 1989) oro di difficoltà
risolutiva (Dialogo difficile, 1988), ora anche di aggressività
(Desiderio rapace, 1988). Ancora è privilegiato
l' utilizzo di legni ben lavorati, levigati e politi,
sempre ieratici, essenziali nel porgersi alla luce e allo
spazio, con nomi ispirati alla immediata suggestione visiva
dell' opera (Dittatore, 1990; Il Generale e il Cardinale,
1990; Contatto, 1990). Ma contemporaneamente, ritorna
alla pietra, una pietra Serena grigio verde, facile da
lavorare e che si presta a fraseggi ritmico-lineari con
particolari effetti chiaroscurali e pittorici (Maschera,
1990; Pianista in verticale, 1991; Estasi del chitarrista,
1991; Elica, 1991). La materia trova forme strutturate,
geometrie allusive (Confidenze, 1991; Il bacio, 1991;
Bandiera, 1991), oppure ritorna a movimenti esplicitamente
organici, che animano lo spazio (Forma in evoluzione,
1992) di allusioni vitalistiche e sensuali.Tra i due termini
della scultura chiusa e aperta non mancano indagini sulla
scultura come architettura nello spazio (I grattacieli
hanno catturato la luna, 1986, in pietra di Varana e arenaria
di fiume) o come racconto figurale di più esplicito
richiamo all' uomo (Tenerezza, 1987, una maternità
in pietra serena), o come simbolo di un ascolto interiore
(Occhio del tempo, 1988, in marmo bianco di Carrara e
granito nero, dove Lorenzi gioca anche sull' abbinamento
di materiali cromatici differenti). Negli anni novanta
è ormai chiara una maturità di stile e di
discorso
personale, inequivocabilmente orientato a ricavare dalla
materia il massimo grado di armonia e di espressività
con interventi capaci di esaltare le qualità intrinseche
della materia, legno o pietra, in forme che hanno abbandonato
decisamente la matrice naturalistica e, seppure mantengono
un' allusione di organica energia, si sviluppano soprattutto
come movimento armonioso del volume, della linea, della
luce. Dello studio per innervature portanti e per ampi
golfi di assorbimento luminoso sono chiare indicazioni
le sculture in ferro verniciato (Pensiero che fugge, 1986,
e Passione, 1993) in cui, in modi diversi, ma consequenziali,
l' autore cerca di trasmettere per via segnica la vibrazione
dell' energia psichica e la qualità del gesto affettivo
materno, ancora una volta l' abbraccio, ma per linee essenziali
di determinazione volumetrica nel campo luminoso. In entrambe
si stabilisce una continuità tra spazio psichico
intimo e spazio dell' oggetto, così che si percepisce
come indissolubile la vicenda di sè e quella degli
altri, di noi stessi e della realtà ambientale
in cui viviamo.
E' per gran parte questa, a mio parere, la ragione ispirativa
delle sculture di Lorenzi, poichè egli sente irresistibile
l' esigenza di tradurre in forma plastica la propria testimonianza
a favore dell' uomo, dell' ambiente e di una osmosi armonica
tra il primo e il secondo, il suo bisogno di restituzione
non solo di equilibrio, ma di gioia esistenziale e di
beltà, cogliendo l' anima delle cose, inventando
astrazioni plastiche che hanno comunque la qualità
di autentici personaggi e la libertà di una forza
naturale, sollecitata a sprigionarsi, a uscire allo scoperto,
a vibrare contro il cielo.
Non è certo un caso se molte delle sue opere a
sviluppo binario si rifanno al "diapason" o
al "compasso", al suono o alla misura, all'
onda emotiva e all' allargarsi dei campi di esperienza
nel gioco delle contrapposizioni o delle consonanze. A
volte evoca le ali e un aprirsi in orrizzontale della
forma, ma più frequentemente lo sviluppo della
scultura è in verticale, come una pianta, come
la figura umana, anzi due figure che nascono dalla stessa
radice e si confrontano, cercano il dialogo, un momento
di complementarietà. Non è semplicemente
a mio avviso, una rappresentazione della coppia, ma una
riflessione sintetica tra due elementi contigui, ora dialogo
di coppia, ora dialogo tra sè e sè, esplorazione
intima che fa emergere l' altra faccia del problema, l'
altra identità, e, dunque, la complessità
e la ricchezza che sono implicite in ognuno di noi. A
questa duplicità, ambiguità, sfaccettatura
l' artista vuol dare soddisfacente ed acquietante espressione
armonica, senza censure o cesure senza reprimere (Anime,
in faggio del 1993; Dialogo, robinia 1993; Il bacio, faggio
1993; Il Gatto e la Volpe, 1994; Richiamo, noce 1995).
Nel movimento della forma plastica è implicita
una "durata", un tempo di crescita, di sviluppo
e di confronto, una misura dello spazio. Questa percezione
conduce istintivamente Lorenzi ai grandi "compassi"
in legno verniciato, che si biforcano verso il cielo (Contrapposti
- La dama ingombrante, cm 216x60x15; Contrapposti - Il
grande compasso, 1996, cm 200x65x16 e Contrapposti - A
2001, il bacio, in pietra serena, cm 177x84x16) evidenziando
sia la diversificazione sia la tensione a una complementarietà
arminiosa, a un ricongiungimento e a un nuovo distacco,
come manifestarsi dell' incessante dinamica esistenziale,
dell' impossibile identità, e perfetto compenetrarsi,
dei corpi; uomo e donna, ma anche corpo e anima, pensiero
e sentimento, logica ed emozione, logos e melos, "forma
ed evento" (scriveva il grecista Carlo Diano), non
coincidono ma si integrano.
Nell' oscillare dallo stato emotivo a quello riflessivo,
nel mutare dei rapporti di avvicinamento e distacco, emerge
il lato della durata, la dimensione temporale, la percezione
della della propria estrema relatività, sia come
individuo sia come elemento di relazione, di rapporto
nello spazio e nel tempo. I "dialoghi" si chiudono
e spunta una sorta di metronomo (Il tempo prigioniero,
legno iroko e pietra arenaria di fiume, 1996; Tempo del
desiderio, legno iroko e pietra arenaria di fiume, 1996;
Il tempo tiranno, legno iroko e pietra arenaria di fiume
con filo armonico di acciaio, 1996, cm 103x29x12) che
media le diverse situazioni, in una scansione plastica
che si è fatta del tutto invenzione personale,
declinazione originale della materia e della forma, scoperta
di una "cifra" interpretativa e comunicativa
inedita. La sintesi si fa, insieme, più ardita,
più rigorosa e severa, e più aderenta al
"segno" che danza nello spazio e lo libera,
piuttosto che al volume che lo occupa: slancio e leggerezza,
contrappunto di curve, in una continuità di anse
e controanse, di pieno e di vuoto, di luce ed ombra sono
gli elementi della sintassi plastica delle più
recenti sculture di Lorenzi (dalla Figura anfora alla
Sonnambula, entrambe in faggio, 1995; Ali spezzate, in
acero del 1995, alla Danza, legno di melo del 1996), accompagnate
da studi grafici sempre più aderenti all' idea
di un movimento che si apre o si chiude alla luce, condotti,
a matita o carboncino, al massimo dell' economia senica,
con una semplicità ed un' eleganza ormai magistrale,
che ribadisce la pienezza della maturità artistica
di Luigi Lorenzi e della sua indiscutibile originalità
delle sue sculture in legno e in pietra. E' interessante
osservare, a proposito dei disegni, come il punto di avvio
in Lorenzi sia rappresentato da una sensibile adesione
a certi plasticismi surreali (Tormento, olio del 1983:
Il pensiero, carboncino e sanguigna del 1984) e come progressivamente
il segno diventi semplice vettore che dialoga con la luce,
la corteggia, la seduce, alludendo a sviluppi volumetrici
(Guerriero stanco, matita del 1991; Tango, matita del
1991) e come poi questi stessi diventino trasparenze luminose,
delicate ombre che si intersecano armoniose come composizioni
vegetalI (Dialogo e Anime, acquerelli del 1992) rarefatte,
pulite, suggestive di inesausta vitalità; per prendere
poi corpo leggero nelle matite e carboncino che definiscono
gli andamenti plastici di sculture in legno ricondotte
all' essenzialità della pura emozione di uno slancio,
di una curva e controcurva che modulano e inteneriscono
la luce e la materia stessa, dandole sorprendenti allusioni
anatomiche di corpi che perdono peso e sostanza, scavati
e disegnati nella luce che scivola sulla materia alleggerita.
Così per via di "astrazione", Luigi Lorenzi
torna al corpo, che prima sentiva e rappresentava come
massa chiusa, blocco serrato in un' esasperata concentrazione
di energia, in un quasi disperato sforzo di contenimento
e, insieme, bisogno di abbraccio, di sensorialità
rassicurante, protettiva, consolatoria. Ma ora è
superata ogni inibizione, è vinta ogni remora,
e il corpo si fa leggero, silhouette, linea che danza
nell' aria, ala, richiamo, risonanza, slancio, ascesi,
volo. In tutto ciò, evidentemente, anche un richiamo
biografico, una riscoperta gioia esistenziale collegata
al fare, al sentire, nella scultura, un raffinarsi e rassodarsi
al tempo stesso dell' esperienza, del gusto, della capacità
progettuale e costruttiva, della facoltà immaginativa
di forme magicamente fluttuanti come evocazioni dell'
anima, materializzazioni di andamenti melodici, di fraseggi
di conquistata e modulata libertà esistenziale.
Ma al di là del dato autobiografico, che pure ha
il suo peso e il suo rilievo, Lorenzi si mostra scultore
sicuro e professionalmente attrezzato proprio nella qualità
della definizione formale, cioè nella capacità
di una sintesi che abbandona qualsiasi intento didascalico,
descrittivo o narrativo, per imporsi nello spazio come
forma che semplicemente racconta se stessa, compiuta e,
dunque, senza più neccessità di referenze
o riferimenti esplicativi: energia raffinata che si fa
movimento plastico, danza lieve della materia, che un
alito leggero sembra muovere, conferendo al gesto un'
espressività comparabile al tendersi di linee essenziali
del corpo, innervarsi di energia intima, morale, spirituale,
che si restituisce alla vita e alla ricerca della forma
come armonia e continuità tra interno ed esterno,
anima dell' uomo e anima del mondo, anima e corpo, entrambi
liberati da qualsiasi predeterminazione sensoriale o dogmatica
della visione, e resi gesto puro, misura plastica, emozione
dello spazio e del tempo della vita - ma già fuori
storia - ormai nella dimensione rarefatta della contemplazione
poetica e della pura intuizione lirica.
Padova, giugno 1997
Giorgio Segato |
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