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LUIGI LORENZI:
NUOVI ORIZZONTI DELLA SCULTURA
E’ un gradevole compito quello
di presentare un giovane talento, che si affaccia sul
mondo dell’ arte con attitudini, che, avendo peraltro
superato lo stadio delle speranze e delle aspettative,
mostra frutti ormai maturi, ad attestare un’ attività
seria e fervida, già perfettamente impostata su
un piano di concreta professionalità.
Parliamo di Luigi Lorenzi, modenese dell’ appennino
(è nato a Pianorso di Lama Mocogno nel 1947,
risiede a Serramazzoni con la moglie e una figlia), scultore
di forte e vivace personalità. Muovendo
dal figurativo verso forme di plasticità estremamente
libere ed estrose, oppure - all’ inverso - da eteree
fantasticherie verso figure solide e nette, Lorenzi propone
opere che presentano caratteri di compiuta elaborazione
formale e insieme di sintesi ardita e brillante, in sintonia
con un indirizzo stilistico ricorrente nell’ arte
del nostro secolo, pur fra tante differenze di scuole
e di tendenze, e che può anzi considerarsi uno
degli aspetti distintivi e più caratterizzanti
del moderno, benchè sia riscontrabile (ed è
una corrispondenza affascinante tra le culture distanti
e diversissime) anche nell’ arte primitiva e preistorica.
E’ la scelta espressiva della semplificazione e
concisione del segno, che Renato Barilli ha evidenziato
nei grandi movimenti alle sorgenti dell’ arte contemporanea:
Simbolismo, Espressionismo, Cubismo. Ma approfondendo
il tema del binomio astratto - figurativo o figurativo
- astratto nella scultura di Lorenzi, troviamo ch’
esso è legato alla costante derivazione di ogni
sua opera da una spinta concettuale ( ed è il concettualismo
che preferiamo): intuizioni, scatti della fantasia, associazioni
d’ idee, che però si trasformano subito in
immagini plastiche, in proiezioni tridimensionali (a volte
efficacemente surrogate da disegni o dipinti, cioè
da sculture virtuali), che a loro volta prendono corpo
nella materia che caso per caso risulterà confacente:
pietra, legno o metallo. E così, nella fase esecutiva,
la stessa materia, nei suoi caratteri specifici, in ciò
che può offrire di più idoneo a tradurre
l’ idea, si fa - per così dire - collaboratrice
dell’ artista, che ne utilizza la peculiare duttilità
e recettività in vista del risultato che intende
conseguire.
La “pietra di fiume”, già lavorata
dai torrenti nelle gole montane, e che vediamo valorizzata
in questa mostra da una serie di pezzi di compatta plasticità
“a tutto tondo” realizza in pieno l’
idea di emozioni raccolte intime e segrete, di una umanità
che ama e sogna, ancora stretta al grembo di una natura
primoidale; mentre il legno e il ferro esprimono, ciascuno
col suo linguaggio, sensi di agile vigore e di dinamismo
estroverso ed elegante, l’ irradiazione verso l’
esterno, lo slancio liberatorio nello spazio e nella luce.
Lorenzi, per origine e temperamento, appartiene alla gente
della montagna, e ben si può dire che nella sua
scultura confluisce anche una vena della tradizione tipica
degli scultori montanari: non però quella rustica
di tagliatori e scalpellini naìf o sedicenti tali
( “naìf” è come l’ etichetta
di una buona grappa nostrana: ma spesso la bottiglia è
vuota). La tradizione che egli onora richiama piuttosto
l’ esempio di scultori montanari ben al di sopra
del folclore, quali il ticinese Alberto Giacometti o a
- noi più vicino e famigliare - il bellunese Augusto
Murer. Pur nella sua formazione di appartato ed ombroso
autodidatta, e pur operando in un ambito di modestia provinciale,
il nostro artista proietta le sue aspirazioni e le sue
realizzazioni oltre l’ orizzonte e verso nuovi orizzonti.
La sua opera rientra tra quelle che Udo Kultermann ha
indicato, nel 1967, come “nuove dimensioni della
scultura” e si inserisce idealmente, pur nelle misure
e proporzioni di un amabile “piccolo mondo”,
nella trama delle tipologie contemporanee della scultura,
quale, per esempio, è rappresentata, in taluni
dei suoi punti nodali, da maestri come Brancusi e Moore.
Modena, febbraio 1986
Franco Pone
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