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LUIGI LORENZI:
SCULTURA, LA VITA
Scultura, la vita. Scultura, esperienza
d' arte totale, impegno esistenziale intero. L' uomo che
mette in gioco tutto se stesso, corpo e anima, senso e
ragione, moralità e spirutualità, interiorità
e relazione, fatto passare attraverso un filtro sapiente
e leggero che si sforzi di portare poeticamente ogni elemento
a superiore armonia, a pure essenza. Questo è Luigi
Lorenzi, artista e uomo. Questa la sua passione e la sua
saggezza, questa la sua umiltà e il suo orgoglio,
questa la sua libertà che egli vive solitario ma
non immemore e non distaccato, nel nutriente silenzio
dei suoi boschi e delle sue montagne d' Appennino, che
certo non sono il Maloja di Segantini ma gli bastano per
guardare alto e lontano, tenendo insieme ben ferme le
proprie radici. Qui nascono e si declinano in coerente
teoria, lunga ormai di vent' anni di lavoro, le serie
degli "abbracci" e dei "baci", dei
"dialoghi" e delle "meditazioni",
dei "pensieri" e delle "solitudini",
degli "amori", e delle "tenerezze",
dei "tormenti" e dei "drammi", delle
"lotte" e dei "riposi", dei "distacchi
e dei "ritorni", dei "desideri e dei "richiami".
Titoli assegnati dall' autore che esprimono con lucida
pertinenza la grande pregnanza di vita nelle sue multiformi
espressioni che attraversa l' intero itinerario del suo
operare.
Un cammino che parte da forme "chiuse", fortemente
bloccate, talvolta drammaticamente serrate quasi a gelosa
tutela di archetipi preziosi e segreti e tuttavia già
presaghe di sentite aperture, che si hanno con vigilata
gradualità di passaggi e crescita di alleggerimenti,
non prive ancora di dolorose tensioni ma cariche pure
di ansie gioiose volte a disvelare comportamenti, a liberare
sentimenti e pensieri. "Apertura" che troverà
acme e pienezza negli anni Novanta, il tempo della compiuta
maturità stilistica di Lorenzi, con i rinnovati
cicli dei "dialoghi" e dei "baci"
e soprattutto con i temi delle "ali" e delle
"anime" (si pensi a opere calde luminose e leggere
come "Ali spezzate" del 1995 e "Danza"
del 1996, la prima in acero e la seconda in legno di melo).
E' appunto il legno , il docile affettuoso e pur forte
legno delle sue montagne, che Lorenzi predilige per aprire
e liberare la forma, mentre era la pietra, la tonda e
scabra arenaria di fiume, che l' artista nel momento della
solitudine e della pena amava e sceglieva per custodire
i valori. Così come sono gli eleganti vitali disegni
e i finissimi acquerelli pregni di luce ad accompagnare,
talvolta anticipare, le sculture, liberi e autonomi ma
anche sempre ad esse intimamente legati, lirico e dolce
controcanto d' una compiuta espressione artistica ricca
e multiforme dova le differenti modulazioni ineffabilmente
si tengono in armonia, entro forme sempre più poeticamente
essenziali. Guardiamo, come emblematici parallelismi,
per i disegni, a "Guerriero stanco" (carboncino,
1991; pietra arenaria di fiume, 1993) e a "Richiamo"
(matita e carboncino, 1996; legno di noce, 1995); per
gli acquerelli, a "Dialogo" (acquerello su cartoncino,
1992; legno di robinia, 1993).
S' è detto di Lorenzi artista appartato e schivo,
libero e originale, non tributario di scuole o botteghe,
non prono a vincoli di soffocanti amicizie. E proprio
per questo, dall' aura rinfrescante e pulita del suo Appennino,
egli ha saputo guardare lontano, la sua frequentazione
culturale vuole essere alta, i suoi ideali e i suoi modelli
sono europei. Per certo, di Alberto Viani egli ha compreso
il coraggioso tentativo di rinnovare quella che Arturo
Martini aveva definito la "lingua morta" della
scultura, sulla base dell' incontro dell' idea di classicità
con i nuovi concetti di spazio e tempo legati alle scienze
del nostro secolo, e soprattutto la novità del
suo contributo alla definizione di un linguaggio plastico
puro, libero - come ha scritto Carlo Ludovico Ragghianti
- da "accidentalità naturali o culturali".
Di Henry Moore, sicuramente hanno affascinato Lorenzi
l' equilibrio supremo fra tensione e purezza plastica,
l' essenzialità dei riferimenti, la soluzione geniale
del problema del rapporto armonico tra pieno e vuoto,
la ricerca sia verso l' astrazione che verso l' invenzione
surreale. E di Jean Arp non v' è dubbio ch' egli
abbia colto l' intensità e la grazia di un linguaggio
che è puro atto creativo, appartenente non al raziocinio
ma alla sfera misteriosa e poetica della natura. Ma quel
procedere di Lorenzi per cicli di opere che si susseguono
e si intrecciano armoniosamente per dare il senso dell'
approfondimento d' una idea, quella sua ricerca inesausta
e appassionata della politezza e della purità e
dell' essenza, quella sua predilezione così netta
e ostinata fra tutti i materiali per il legno, quell'
attaccamento così umano e così religioso
alle radici, non possono che rimandarci con immediatezza
e con forza al modello cui l' artista guarda sopra ogni
altro e tutti sembra riassumerli, Costantin Brancusi.
E' infatti egli stesso che ci confessa come il suo amore
per Brancusi sia nato da una sorta di folgorazione e si
sia poi nutrito di studi e di meditazioni profonde.
Su Brancusi, in occasione della grande mostra al Centro
Pompidou di Parigi nel 1995, ha scritto Roberto Tassi
una pagina mirabile di cui vogliamo qui riportare un brano
centrale che a noi pare emblematico di questo rispecchiamento:
"Brancusi è stato l' artista più puro
del XX secolo; ma è stato anche il più umano.
Unire purezza e umanità in grado massimo è
quasi un miracolo; sono due cose opposte che, messe insieme,
si modificano e si rinforzano a vicenda. La purezza è
disumana e l' umanità è impura; ma la purezza
umana appartiene al cielo della poesia.... Come nessun
altro nel Novecento, Brancusi è stato artista delle
essenze; in ognuna delle sue opere si identificano la
forma elementare e la forma universale. Sembra che tenda
alla semplicità, ma dice "La semplicità
non è uno scopo dell' arte; si arriva alla semplicità,
senza volerlo, avvicinandosi al senso reale delle cose";
il senso reale è la verità essenziale, il
nucleo dell' essenza. Diceva anche: "La semplicità
è la complessità stessa", cioè
la concentrazione e l' affinamento del molteplice, la
complessità assoluta".
Su questa nota stupenda che sembra scavare fin nell' anima
d' una non ordinaria affinità culturale e
spirituale, potrebbe convenientemente chiudersi il nostro
discorso di analisi su Luigi Lorenzi artista
e uomo. Se non fosse invece neccessario soffermarsi e
riflettere sull' ultimo suo ciclo di opere che inizia
nel 1996, partendo dal momento dalla più lirica
leggerezza e purità; un ciclo che, formalmente
contrassegnato da una sorta di "metronomo",
potremmo chiamare in senso ampio del "tempo",
dove parrebbe affacciarsi se non una cesura, almeno una
pausa rispetto al lungo e coerente cammino dei "dialoghi".
Cammino che Lorenzi certo non intende ripudiare o superare
ma al quale vuole si affianchi in accordo, quasi a chiave
di lettura e ad emblema ultimo della sua poetica, questa
sua nuova personalissima fase di ricerca. Abbiamo dunque
di queste opere una ormai consistente sequela, in cui
il "tempo" entra con pregnanza totalizzante
e inquietante: un tempo che è quello invocato "della
musica" e del "riposo", ma più è
quello temuto e sofferto, "tiranno", "prigioniero",
"perduto". Ci par di cogliere in queste opere
un rigore e una tensione nuova, una risentita consapevolezza
del tempo stravolto che ci è dato di vivere in
questo tempestoso e vacuo fine millennio, un virtuoso
richiamo alla storia e alla memoria, una forte moralità
che con fermo segno si sforza di indicare una regola.
Un impegno suggellato da due ultimissime sculture del
1999: "Elica del tempo" e "Armonia del
tempo". Un tempo che corre vorticoso, turbato e corrotto,
ma insieme frammento prezioso di speranza d' un tempo
che custodisca e governi, che riporti la bellezza e l'
armonia della vita.
Mantova, novembre 1999
Alessandro Righetti
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